Remarks at Presidio Permanente No Dal Molin, Vicenza, Italy, Dec. 16, 2007

Di David Swanson

Voglio ringraziare il Presidio permanente e il movimento No Dal Molin per avermi invitato, insieme a Desiree, a Vicenza. Vicenza per me è speciale per vari motivi. 20 anni fa sono venuto qui come studente a Bassano del Grappa, ho vissuto a Marostica e venivo spesso a Vicenza. Ho fatto amicizia con persone che ora per me sono come una famiglia, sono tornato diverse volte a trovarli e sono venuti loro negli Stati uniti. E, a proposito, 20 anni fa, quando dicevi di essere statunitense, tutti ti volevano bene. Ora, non è sempre così.

È stato quando stavo a Marostica che ho deciso di studiare architettura. Alla fine, ho studiato filosofia all’università della città dove ancora vivo, la città natale del terzo presidente degli Stati uniti, Thomas Jefferson, il quale ha costruito la sua casa in stile palladiano e l’ha chiamata Monticello.

Jefferson è stato l’autore principale della Dichiarazione di Indipendenza del 1776, una dichiarazione scritta da persone che si sentivano maltrattate da un impero distante. La dichiarazione consiste principalmente in una lunga lista di accuse contro Re George di
Inghilterra, ma molte di queste accuse valgono ancora oggi per gli statunitensi, gli italiani e gli abitanti di oltre 150 nazioni del mondo come accuse contro il nuovo Re King George W. Bush. So che a Vicenza avete festeggiato il 4 luglio come giorno dell’indipendenza dalle basi militari. Spero che abbiate letto una parte della Dichiarazione di Indipendenza.

Vorrei leggere qualche estratto:

“… Egli ha creato una moltitudine di nuove cariche, ha inviato in questo paese nugoli di funzionari destinati a tormentare il nostro popolo e a divorarne gli averi.

Egli ha mantenuto fra di noi, in tempo di pace, eserciti stanziali senza il consenso dei nostri Corpi legislativi.

Ha cercato di rendere il potere militare indipendente e superiore al potere civile.

Si è accordato con altri per assoggettarci a una giurisdizione aliena alla nostra costituzione e non riconosciuta dalle nostre leggi, dando il suo consenso alle loro pretese disposizioni legislative miranti a:

1. acquartierare tra noi grandi corpi di truppe armate;
2. proteggerli, con processi farsa, dalle pene in cui sarebbero incorsi per omicidi commessi contro gli abitanti di questi Stati;

Ad ogni stadio di queste oppressioni noi abbiamo chiesto, nei termini più umili, che fossero riparati i torti che avevamo subito; alle nostre ripetute petizioni non hanno risposto se non con ripetute offese. Un principe, il cui carattere si distingue per tutte quelle azioni che definiscono un tiranno, non è adatto a governare un popolo libero.”

Il popolo statunitense non è un popolo libero nella stessa maniera in cui non lo era 7
anni fa. A passo rapido stiamo perdendo i nostri diritti. E tanti di noi non ne sono nemmeno consapevoli.

La maggioranza degli Statunitensi è incredibilmente disinformata: non sa che i suoi contributi pagano una parte dei costi per il mantenimento di più di 300.000 militari in oltre 1.000 basi sparpagliate nell’80% delle nazioni del mondo. Ci sono pochi autori, come Chalmers Johnson, che scrivono di questo impero. Ogni tanto la storia di una donna stuprata in Giappone oppure del cavo di una funivia tagliato in Italia fanno notizia per un giorno in quello che il governo statunitense chiama la “Homeland”, la patria. Però in generale la gente negli Stati Uniti sa molto poco di quello che il resto del mondo sperimenta a causa del nostro paese, e ancora di meno sa che sarebbe importante occuparsene. Ci sono organizzazioni negli USA, come Code Pink, che lavorano in modo solidale con il movimento globale contro le basi statunitensi, ma non è una questione di rilievo negli Stati Uniti, e non se ne parla quasi mai sui telegiornali o sulla stampa. A volte la questione delle basi in Iraq fa notizia. Le prigioni segrete e le cellule di tortura nell’Europa dell’Est e altrove a volte fanno notizia. Ma non vengono mai messe nel contesto dell’arcipelago delle basi. C’è anche un movimento importante negli Stati uniti contro le politiche economiche che il nostro governo impone su altre nazioni del mondo, ma è raro che si faccia un collegamento tra
queste politiche e la presenza militare.

Nonostante l’ignoranza comunque la gente capisce, del governo, più di quanto ci vogliano far credere i media. La maggioranza vuole la fine dell’occupazione dell’Iraq, vuole tagliare
drasticamente le spese militari, vuole investire nella diplomazia e negli aiuti umanitari e si oppone alla creazione di basi in Iraq. Abbiamo anche eletto Al Gore e John Kerry come presidenti.

Gli statunitensi pensano all’Italia come ad un luogo bello e romantico e agli italiani come ad un popolo gentile ed aperto. Se solo sapessero, gli statunitensi si pronuncerebbero contro il rapimento di civili da parte della CIA su suolo italiano, contro lo sparare a giornalisti, come Giuliana Sgrena, ai checkpoint in Iraq. Ma la maggior parte non pensa di
poter effettuare cambiamenti. La nostra democrazia risale ai tempi di Jefferson, ma è ormai una democrazia quasi priva di forza. Alcuni di voi forse si sono lamentati dei camionisti che protestavano e bloccavano le strade. Ma a me farebbe tanto piacere vedere una cosa simile negli Stati Uniti. Forse alcuni di voi pensano che si debba fare di più a Vicenza e a Roma, ma io sono invidioso di quello che siete riusciti a fare.

(E la volontà della vostra magistratura di contestare i rapimenti da parte del nostro governo potrebbe aver contribuito a spingere la CIA a distruggere delle registrazioni, cosa che ha portato ad uno dei più recenti scandali a Washington.)

Ma guardando il lato positivo, in California c’è una cittadina che sta lottando, pare con qualche successo, contro la costruzione di una nuova base dei mercenari della Blackwater.

Al popolo statunitense non viene mai chiesto un parere sulle nuove basi in Italia o in Iraq. Nel caso dell’Iraq, neanche ai nostri rappresentanti al Congresso è stato chiesto nulla. E il Congresso ha ripetutamente vietato la costruzione di quelle basi in Iraq. Ma Bush e Cheney vanno avanti a costruirle. E il Congresso, a cui manca il coraggio di intraprendere azioni concrete, va avanti nel rivietarle.

A maggio di quest’anno, rappresentanti del Presidio permanente, Cinzia e Thea, sono venute a Washington, e noi ci siamo uniti a loro negli incontri con i deputati, i senatori e il loro staff, per parlare delle loro preoccupazioni. Tanti di quelli con cui abbiamo parlato non sapevano della questione Dal Molin e non hanno preso impegni per cercare di risolverla.
C’era un deputato però, ora candidato alla Casa Bianca, Dennis Kucinich, che si è espresso contro la base Dal Molin, e anche contro tutte le basi in terra straniera, e ci ha offerto il suo sostegno, scrivendo una lettera ai colleghi, e ha detto che gli farebbe piacere venire a Vicenza. Ma l’incontro più lungo è stato con alcuni membri dello staff della commissione difesa al Senato, incluse alcune persone che sono state al Dal Molin per valutare il sito della nuova base prima che la gente in Italia sapesse del progetto. Questi membri dello staff non volevano o non potevano nemmeno considerare la possibilità di non costruire la base. Al massimo erano disponibili a considerare la possibilità di un’altra collocazione nelle vicinanze. Ma Cinzia e Thea non stavano cercando di spostare la base, ma di impedire che fosse costruita. L’opposizione di queste persone non danneggiava solo una città ma tutto l’impero. Questo è qualcosa che i membri dello staff facevano fatica a capire. Infatti erano offesi per il fatto che membri del movimento pacifista statunitense prendessero parte all’incontro e non capivano che cosa avesse a che fare questo con la pace.

Che l’abbiano sentito o meno, Cinzia ha detto a questi membri del senato qualcosa che viene detto raramente a Washington: “I cittadini,” ha detto, “non accetteranno mai – ripeto – MAI una base al Dal Molin.”

In quel momento, la seconda parte dei finanziamenti per il Dal Molin non era ancora stata approvata dal Congresso, ma ora lo è: 173 milioni di dollari. E probabilmente il numero degli Americani che ne sanno qualcosa si può contare sulle dita di due mani.

Negli Stati Uniti il dibattito pubblico nei media controllati dalle grandi corporazioni è estremamente limitato. Le uniche occasioni in cui queste questioni si impongono all’attenzione è quando qualcuno fa qualcosa di creativo e disturba, come quando Desiree ha messo le sue mani rosse davanti alla faccia del Segretario di Stato Condoleezza Rice. Quando i No Dal Molin hanno interrotto Prodi a giugno e Cinzia è salita sul palco accanto a lui, questa notizia sarebbe passata nei media americani, se non si fosse trattato di una nazione esterna agli Stati Uniti, e se tutto fosse stato fatto in inglese.

Il movimento pacifista negli Stati Uniti è determinato naturalmente a far cessare l’occupazione dell’Iraq e a prevenire un attacco all’Iran. Il nostro congresso nell’anno passato è stato dominato in entrambe le camere dal nostro cosiddetto partito di opposizione, il Partito Democratico. So che ora anche voi ne avete uno, e mi dispiace per voi. Il nostro Partito Democratico ha vinto largamente alle elezioni del novembre 2006 grazie alla sua pubblica opposizione all’occupazione dell’Iraq. (Tutti la chiamano guerra, naturalmente, ma è un’occupazione, e questo è qualcosa di cui i media statunitensi non possono parlare. Farlo significherebbe aprire una discussione che coinvolgerebbe tutto l’impero. Quindi, la nostra televisione continua a chiamarla guerra, e di conseguenza perfino gli attivisti pacifisti fanno lo stesso). I leader del nostro Partito Democratico hanno deciso un anno fa che avrebbero continuato l’occupazione in Iraq per altri due anni facendo finta di tentare di fermarla, in modo da poter poi vincere le elezioni del 2008 o l’elezione. Hanno accettato che tutto il potere sia stato trasferito alla Casa Bianca, ma vogliono che lì ci sia un democratico al posto di un repubblicano. Il loro ragionamento è che se loro in due anni non riescono a porre fine all’occupazione, il pubblico sosterrà comunque il loro candidato presidente nella speranza che lui o lei porrà fine all’occupazione. In ogni caso alcuni candidati democratici rifiutano di impegnarsi a porre fine immediatamente all’occupazione, e nemmeno tra quattro o otto anni.

Nel frattempo il Congresso potrebbe smettere di finanziare legalmente l’occupazione, semplicemente rifutandosi di passare altre leggi che stanzino fondi. Questo semplice fatto non è messo in discussione da nessuno, ma nemmeno se ne parla. Ogni notizia negli Stati Uniti fa finta che il Congresso possa soltanto cessare l’occupazione promulgando una legge apposita. Ma ogni legge viene votata da Bush e i democratici non raggiungono i due terzi in entrambe le camere necessari per porre il veto. Quindi siamo nella posizione di far finta che la maggioranza nel Congresso non abbia il potere di agire.

In Senato neanche una maggioranza è sufficiente a passare una legge. Su 100 senatori 41 sono sufficienti a bloccare qualsiasi legge attraverso una manovra chiamata “filibuster”, cioè ostruzionismo parlamentare. E i democratici non hanno 60 senatori. Ma 41 democratici potrebbero facilmente fare ostruzionismo a tutte le leggi che finanziano l’occupazione. Dopo un anno, persino alcuni dei maggiori e meglio finanziati gruppi pacifisti statunitensi stanno finalmente chiedendo loro di farlo. Se volete aiutarci, potrebbe avere davvero un impatto se i cartelloni alle manifestazioni in Italia dicessero “Filibuster the Iraq Dollars!”, “Opponetevi ai dollari per l’Iraq!”

Potreste anche aggiungere: Basta Parole, Ora Ai Fatti!

Ora, Bush e Cheney hanno rubato soldi da qualche altro luogo nel Pentagono per iniziare segretamente l’invasione dell’Iraq, e ruberebbero ancora soldi per continuare l’occupazione se il congresso chiudesse i rubinetti. Ma questo è il motivo per cui Jefferson e I suoi amici, che avevano appena spodestato un re, hanno dato al Congresso il potere di giudicare, processare e rimuovere un presidente o vicepresidente o enrambi attraverso un procedimento chiamato impeachment. L’impeachment è l’unico vero potere che il Congresso ha su un presidente criminale che viola apertamente le leggi e rifiuta di rispondere alle domande. È l’unico potere che sarebbe in grado di prevenire un attacco all’Iran se Bush e Cheney vorranno attaccarlo. Quindi se volete esserci veramente d’aiuto, fate degli striscioni che dicano “Impeachment per Bush e
Cheney!”.

Alcuni leader del movimento pacifista Americano si sono incontrati di persona e in video-conferenza neglle ultime due settimane mettendo insieme dei piani per marzo 2008 per il quinto anniversario dell’occupazione dell’Iraq. Stiamo organizzando una grande marcia a Washington per sabato 15 marzo seguita da due giorni di testimonianze dai veterani dell’Iraq contro la guerra. Ma la maggior parte degli attivisti pacifisti negli Stati Uniti è stanca di marciare e non essere ascoltata. Quindi nella tradizione di persone coraggiose come Eve Tetaz, di 76 anni, qui con noi da Washington durante uno dei suoi periodi fuori dalla prigione, stiamo organizzando una disobbedienza civile di massa a Washington e in tutto il Paese il 19 marzo, e possibilmente anche il 12 marzo a Washington, perché il 19 i membri del congresso saranno fuori città, cioè a casa in vacanza (questo è soggetto a cambiamento).

Anche questa settimana un gruppo di membri del congresso della commissione giustizia, che si occupa dell’impeachment, hanno in programma la pubblicazione di una colonna in un importante quotidiano statunitense per spronare la commissione a iniziare l’impeachment di Cheney. Ma nessun giornale la voleva pubblicare, quindi l’hanno messa in internet. Il movimento per l’impeachment crescerà nei prossimi mesi anche di fronte all’imminente elezione del novembre 2008, che già da mesi è al centro della cronaca politica nei media statunitensi. Le elezioni saranno la morte definitiva della democrazia americana se non eliminiamo questa eccessiva copertura mediatica intorno alle elezioni.

Tra i democratici, il congressista Dennis Kucinich è l’unico vero candidato pacifista, l’unico che vorrebbe toccare il budget del pentagono, l’unico che potrebbe mettere fine all’impero. E naturalmente i media dicono a tutti che lui non ha chance. Quindi decine di migliaia di americani dicono tra di loro “io sosterrei Kucinich se avesse delle chance”. Sarebbe divertente se non fosse anche devastante.

Dovrei sottolineare che una volta lavoravo per Kucinich e lo consideravo un amico, ma lo considererei in ogni caso il miglior candidato. Gli altri non si impegneranno a lasciare l’Iraq e neanche a non attaccare l’Iran o a non lanciargli la bomba atomica.

Tra i repubblicani, il congressista Ron Paul sta ottenendo consensi alla sua campagna presidenziale opponendosi all’occupazione dell’Iraq e all’impero. C’è molto sostegno per simili posizioni anche tra persone di destra che credono nel machismo e nel potere corporativo. Ma Paul si oppone all’occupazione dell’Iraq principalmente perché costa soldi e si oppone a molte altre cose che costano soldi come la previdenza per gli anziani, l’assistenza sanitaria e del lavoro, l’energia pulita, i trasporti pubblici e gli aiuti agli altri Paesi. È per la pace, ma non è per la giustizia. Molti dei suoi sostenitori non lo capiscono del tutto.

Gli Americani sono molto più ignoranti che crudeli. Non è certo una giustificazione, ma è la verità. La nostra migliore speranza sta nel costruire solidarietà con attivisti per la pace e la giustizia in tutto il mondo e nell’usare internet per cominciare. Io ho un sito che si chiama AfterDowningStreet.org, che viene letto dal movimento pacifista statunitense. Ci inserirò tutte le notizie che mi manderete dall’Italia. Stephanie Westbrook di Cittadini statunitensi per la pace e la giustizia a Roma mi manda già notizie. Ma abbiamo bisogno di molto di più di uno scambio di informazioni e vi incoraggerei ad inserire nei vostri siti gli indirizzi e-mail dei membri del congresso e dei media americani. So che gli Stati Uniti sono il mio Paese e non il vostro, ma francamente non ci stiamo comportando molto bene e potremmo servirci del vostro aiuto e farà effetto su tutti.
Grazie!
No Dal Molin!

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